…tra storia e leggenda


Nello stemma moderno della città di Napoli c’è un cavallo, un cavallo indomito che non ha paura di nulla, che rispecchia in tutto il popolo napoletano. Ma la storia di questo cavallo si perde nella memoria e nel tempo. Tutto ebbe inizio in Piazza Riario Sforza, dove oggi c’è la guglia dedicata a San Gennaro opera di Fanzago, il padre del barocco napoletano. Proprio in Piazza Riario Sforza, fino al Medio Evo c’era la statua di un cavallo di bronzo, che la leggenda e Cronaca di Partenope, voleva forgiato da Virgilio, conosciuto a Napoli, non solo come illustre poeta, ma come mago e anche santo.

Una statua che raffigurava un grande cavallo di bronzo, sfrenato e dall’aspetto furente, certamente a Napoli c’era. Il cavallo era sacro a Poseidone e a Demetra. In ogni modo sembra che fosse una scultura talmente bella da essere considerata metafora dell’orgoglio indomito della città, e come tale raffigurata nelle insegne degli antichi Sedili di Capuana e di Nido. Un cavallo nero contrassegnava il seggio di Nido, un cavallo bianco il seggio di Capuana.

Sembra che quando Corrado IV entrò a Napoli, indispettito dal fatto che i napoletani non vollero arrendersi, fece mettere le briglie a questo cavallo per sfregio. Era però anche un monumento ritenuto magico e la gente ci girava intorno tre volte per far guarire i cavalli, un rituale che forse nascondeva un rimedio contro forme di impotenza o a stimolare la potenza sessuale.

La statua fu per secoli venerata dal popolo per la leggenda che la legava a Virgilio Mago, autore di statue di animali portafortuna. Come nel racconto popolare riportato da Matilde Serao, “quando un morbo fierissimo invase la razza dei cavalli, Virgilio fece fondere un grande cavallo di bronzo, gli trasfuse il suo magico potere e ogni cavallo condotto a fare tre giri, intorno a quello di bronzo, era immancabilmente guarito”.

Nella Cronaca di Partenope si legge che i maniscalchi invidiosi della città, indispettiti dalle virtù del cavallo che curava gli altri cavalli ammalati, una notte gli perforarono il ventre, per cui la statua perse le sue virtù. In verità l’arcivescovo di Napoli Matteo Filomarino, infastidito che il popolo chiedeva più grazie al cavallo che al vicino San Gennaro, fece sciogliere in una fornace il cavallo ma risparmiò la testa, molto probabilmente quella che ora si trova sull’uscita della metropolitana fermata Museo di Napoli.

Il suo metallo fu poi riconvertito nel bronzo delle campane della cattedrale nell’anno 1322. Se si tende bene l’orecchio le campane sembrano nitrire proprio come un cavallo, il cavallo di Virgilio. Ma sul cavallo, o per meglio dire la testa del cavallo, ancora oggi gravitano attorno ad essa tante storie. Difatti si racconta che la testa del cavallo fu collocata in palazzo Carafa che da allora fu chiamato il Palazzo del Cavallo di Bronzo e non mancarono pubblicazioni che assegnavano questa testa a Donatello, mentre altre a manifattura greco-romana del III a.C., attribuzione che sembra avere oggi un maggiore credito.

Ma la testa venne trasferita nel 1809 al Museo Archeologico di Napoli come dono dell’ultimo principe Carafa di Colubrano. Superato il monumentale ingresso del palazzo, che si distingue passeggiando per la strada più famosa a Napoli Spaccanapoli, grazie alla sua facciata rivestita da bugne in tufi giallo e pietra grigia, oggi si può osservare una copia in terracotta addossata alla parete di fondo del cortile.

Ancora oggi esiste l’usanza di portare gli animali ammalati, o semplicemente per farli benedire prima alla chiesa di Sant’Eligio al Mercato, ed alla chiesa di Sant’Antonio Abate nei giorni della festività del santo. Gli animali vengono adornati con collane di tarallini, campanelli e pezzetti di stoffa rossa.

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