Maria, Fabrizio e Carlo Gesualdo


Quando a Napoli si parla del Principe di Sansevero, la mente si collega immediatamente alla sua meravigliosa cappella ricca di fascino arcano. Custode di una delle opere più famose al mondo il Cristo Velato. Il Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro è ancora oggi una delle figure più affascinanti ed enigmatiche. Avvolto da un alone di mistero a causa dei suoi oscuri e imperscrutabili esperimenti. Esperimenti che lui stesso svolgeva all’interno del suo palazzo proprio vicino alla sua cappella. Palazzo Sansevero, racchiude segreti e misteri. Il palazzo in vico san Domenico esiste da molto tempo prima ancora di divenire la dimora della famiglia di Sangro, anzi per dirla tutta, solo dopo un immane tragedia divenne proprietà della nobile famiglia.

La tragedia avvenne nell’ottobre del 1590, quando Carlo Gesualdo, l’allora proprietario del palazzo, scoprì sua moglie Maria d’Avalos a letto con l’amante il duca d’Andra Fabrizio Carafa. Per risalire alle cronache del tempo, dobbiamo fare un passo indietro e ricostruire la vita coniugale di Maria e il suo consorte il cugino Carlo Gesualdo. Carlo era un eccellente compositore italiano di musica sacra e madrigali, Maria era una donna di incredibile bellezza, aveva sposato Carlo, suo cugino di terso grado, in terze nozze. Rimase vedova dalle prime nozze con Federico Carafa, e vedova anche dalle seconde con Alfonso Gioieni, perdendo in disgrazia anche i figli avuti dai due precedenti matrimoni.

Ma dopo quattro anni il matrimonio tra i due iniziò a vacillare, tanto che Maria non esitava a dire pubblicamente che suo marito fosse poco attraente, privo di interessi e ossessivo nei modi. Iniziò ad odiare lui e la sua musica, allontanandosi sempre più dal marito per sentirsi attratta dal nuovo. Durante una festa aristocratica della nobiltà napoletana conobbe il duca Fabrizio Carafa, conosciuto con l’appellativo l’Arcangelo a causa del suo enorme fascino e avvenenza che emanava. Tra Maria e Fabrizio esplose l’amore e la passione e i due divennero amanti. Maria finalmente aveva trovato l’amore che sognava da tempo, ma purtroppo era una storia d’amore lontana da una normale relazione,  che si presentava come una passione pericolosa.

Le voci della loro relazione iniziarono a prendere forma in tutti gli ambienti sia della nobiltà napoletana sia del popolo napoletano. Bisbigli, sussurri e racconti circolavano senza pudore. Carlo Gesualdo, dapprima fece finta di non ascoltare, non voleva credere a tutte queste storie, ma in cuor suo aveva già intuito il tradimento di Maria. Un giorno però Carlo venne informato dettagliatamente del tradimento della moglie, e la sua collera prese il sopravvento, assieme all’idea della vendetta.

Vendetta che avvenne una notte di ottobre quando uccise i due amanti nella camera da letto. Dopo aver vendicato il suo onore, Carlo espose i cadaveri nudi ed insanguinati di Maria e Fabrizio all’ingresso del palazzo. Il racconto tramandato vuole anche che un frate gobbo si sia introdotto nel palazzo ed abbia abusato nella notte del corpo di Maria. Anche se le versioni di questa storia sono tante, la tragica fine dei due amanti li ha resi immortali.

Si racconta che dopo la tragica morte della bella Maria, il suo fantasma vaghi tutte le notti per le strade buie di Piazza san Domenico, emettendo strazianti lamenti in cerca dell’amore e l’amante perduto. Alcune persone sottolineano che questi lamenti sono molto più forti durante le notti di luna piena.

Carlo Gesualdo per sfuggire sia al suo tormento sia alla vendetta inevitabile della famiglia Carafa, abbandonò il palazzo che quindi fu venduto. Il duca di Torremaggiore Paolo di Sangro acquistò l’edificio napoletano.

Il duplice omicidio però continuava ad aleggiare tra le sale del palazzo. Iniziò anche a circolare la voce che a causa del brutale gesto una maledizione avrebbe gravato sugli abitanti per sette generazioni. Probabilmente fu proprio per questo motivo che il principe alchimista Raimondo di Sangro decise nel 1735 di ristrutturare e trasformare completamente ogni angolo del palazzo, che assieme alla sua cappella sono uno dei massimi esempi di barocco napoletano.

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